Le notizie storiche della "vicinia" di Livigno
Tra le vicinìe di Bormio la più caratteristica fu certamente quella di Livigno che ancor oggi conserva un ricordo del suo ordinamento con Bormio, nell'esenzione da dazi e monopoli. Il raggiungimento di questa piena autonomia fiscale fu però non poco faticosa.
Soprattutto per quanto concerne l'uso dei boschi e del pascolo, Bormio fu sempre piuttosto esigente nei confronti dei suoi vicini, cito ad esempio delle pergamene. 1319 - giovedì 8 febbraio - ricevuta ai vicini di Livigno Albertolo del fu Egidio Venosta di Mazzo, dichiara di ricevere lire 4 imperiali da Nicola musasio di Bormio a nome dei vicini della contrada di Livigno, quale fitto annuale.
1322 - martedì 2 novembre - Restituzione Antonio di Campagnolol filius quondam Compagnono Alberigo di Poschiavo, restituisce ad Alberto filius Egidio de Venosta di Mazzo, ogni suo diritto su tutte le Alpi di Livignolo e Fedaria, in territorio di Bormio, e detto Antonio dichiara di ricevere lire 100 imperiali a saldo". (appendice n.36).
Frattanto si affermava sempre più la potenza dei Visconti i quali approfittando delle lotte tra Como e Coira per il possesso di Bormio riuscirono lentamente a penetrare nelle zone più settentrionali della Lombardia.
Nel 1355, Azzone 1O, riuscì con relativa facilità ad occupare Como ed il suo Vescovado, entrando poi e risalendo la Valtellina fino alla pianura di Bormio. Qui fu temporaneamente arrestato, in quanto l'alta Valtellina aveva acquistato una notevole forza ed autonomia, grazie ai privilegi concessi da Coira.
Vinto poi nel 1366 ed aggregato ai territori dei Visconti, Bormio, riuscì a conservare in gran parte i suoi privilegi.
Per i Visconti, del resto, valeva di più affezionarsi questi irrequieti mercanti montanari che non essere costretti a continue spedizioni punitive.
I pericoli maggiori, quindi non vennero dai Milanesi, ma dalla Rezia; drappelli di engadinesi, si spingevano nel territorio dell'alto Bormiese, attraverso la vallata di Livigno, devastando i pascoli ed asportando il bestiame. Queste scorrerie aggravavano non tanto la situazione economica di Bormio basata sull'agricoltura ed il commercio, che cominciò a svilupparsi in modo notevole, quanto piuttosto quella più precaria e primitiva dei Livignaschi, esclusivamente basata sull'allevamento e sullo sfruttamento del pascolo per il quale tra l'altro, Livigno era ancora tenuto a pagare onerosi tributi al Centro bormino.
Quando alla Signoria dei Visconti succedettero gli Sforza, si aprì per la Lombardia un periodo di instabilità, particolarmente grave per la nostra valle, sempre più insidiata dai vicini Grigioni.
La solidarietà dei Comuni valtellinesi verso Milano si attenuò: i mercanti, infatti si orientarono verso un'attività più lucrosa: i passi alpini e le strette strade che vi si inerpicavano, che portavano alla Rezia ed a Venezia, vennero considerato un grosso e prezioso capitale da investire e far fruttar al massimo.
A loro volta i Veneziani ed i Retici, cercarono di contrastare le azioni concorrenti dei Valtellinesi. Nel 1478 i comandanti grigioni irruppero da Livigno su Bormio, appiccando incendi e compiendo razzie. La zona conobbe poi' nel breve volgere di un anno, l'occupazione francese, la ripresa del Moro. E' allora evidente che anche se non esistono documenti, i montanari dell'alta valle, dovendo sottostare ad uno straniero, abbiano finito per optare verso una potenza minore ma tranquilla, una potenza che garantisse la continuità di quella autonomia amministrativa da tempo conquistata , che garantisse altresì la possibilità di una vita operosa e lontana dalle continue discordie: quella dei Grigioni.
L'occupazione grigiona parve ai Valtellinesi un evento sopportabile, e i Bormiesi, in particolare, seppero sfruttare abilmente la situazione e darsi un sistema interno di vita degno di ogni elogio, ottenendo un'autonomia quasi completa nell'amministrazione civile e nell'esercizio della giurisdizione. L'orientamento di tutti gli atti pubblici, per i primi 20 anni, fu in tutto favorevole ai Grigioni; anzi si dice anche da alcuni, che il popolo di Bormio si sia dato liberamente ai Grigioni. Del resto, se si pensa alla durezza del precedente dominio francese, i cittadini del Bormiese avranno visto senz'altro i Grigioni con simpatia, come già si è detto.
Dal 1515 i Grigioni inviarono regolarmente a Bormio il loro rappresentante, il Podestà e questo governò secondo lo statuto di Bormio. Tuttavia questo fatto dell'occupazione da parte retica delle valli italiane, non fu da tutti pacificamente accettato: più volte si tentò da parte milanese e francese di recuperare le valli in mano ai Grigioni, ma anche il più insigne tentativo armato, messo in atto dal medeghino (G.Giacomo Medici), fallì miseramente. Dopo il 1522, tranquilli per la vittoria sul Medeghino, i Grigioni passarono, anche nei contadi della Valtellina all'affermazione pratica dello "jus reformandi" in materia di statuti: la nomina dei magistrati da parte dei Grigioni, portò a gravi conseguenze; spesso i rappresentati d'otralpe, incolti e malvisti dalla popolazione, non erano in grado di assolvere al loro compito. La convivenza pacifica non fu quasi più possibile. A stento il Contado di Bormio, in base all'art. 319 degli Statuti, riuscì a conservare alcuni dei privilegi precedentemente acquistati ed ai quali a stento una comunità abituata all'autonomia, avrebbe rinunciato. D'altra parte i Grigioni intuirono che la religione sarebbe stato uno degli ostacoli maggiori nel loro progetto di assoggettamento delle popolazioni alpine. Iniziarono così una lenta penetrazione, per stabilire una solida base protestante.
La riforma protestante si era già diffusa da tempo fra i Grigioni e vi aveva conquistato un forte predominio. In valtellina le nuove idee giunsero sì dal Nord, per appoggio delle autorità retiche, ma anche attraverso i profughi che avevano lasciato l'Italia davanti alla controffensiva del Concilio di Trento.' Fu così che la polemica religiosa assunse anche significato politico. Da tempo, infatti, tra i Valtellinesi serpeggiava un grande malcontento per gli abusi e la corruzione dei funzionari retici. Tale dissidio andò via via aumentando, nel decennio fra il 1549 e il 1559.
Ad approfittarne fu la Viciania di Livigno; lontana dalla terra madre e da essa separata nei mesi invernali causa della neve, aveva un suo Pretore con possibilità di sentenziare per cause minori. Per le maggiori si doveva aspettare la primavera perché fossero trattate nel capoluogo. In verità, già dal 1355, Livigno, aveva progressivamente teso verso l'autonomia. Questa tendenza si concretò dapprima nel 1477, quando la Chiesa di Livigno, si staccò da quella di Bormio e successivamente nel 1538, quando "si limitarono le ingerenze di Bormio, liberando i Livignaschi dalla prestazione della "mulsa" il dì di S. Giovanni, dalla fornitura di un agnello su dieci al macello di Bormio, dal monopolio dell'osteria".
Livigno fino ad ora aveva conservato caratteristiche del tutto arcaiche: unica occupazione per una scarsa popolazione era la pastorizia praticata in questo esteso pascolo di possesso della Comunità. Le violazioni in materia di pascoli erano frequenti da parte dei Livignaschi.
A volte, addirittura, vendevano i beni demaniali ad estranei. Nel 1559, una parte del pascolo fu venduto, appunto, a degli Engadinesi. Ciò scatenò una serie di proteste da parte di Bormio.
La Vicinia di Livigno, tendeva, acquistandosi la protezione dei Grigioni, a realizzare pienamente l'indipendenza dalla Terra Mastra. Ovviamente per Bormio, il frazionamento di un minuscolo territorio, avrebbe significato la perdita dell'autonomia. Nel frattempo i Livignaschi avevano inviato alla Comunità di Bormio, una serie di lamentele circa pretese ingiustizie dei Bormiesi, contro gli interessi dei Livignaschi. Con tali lamentele i Livignaschi, chiedevano autonomia, esenzione dall'obbligo di pagare le decime ed ogni altro onere ancora esistente.
Bormio, come capitale del piccolo stato, rispose a tutte le Petitiones, ma, poiché le stesse erano state fatte pervenire anche ai Grigioni, questi non si lasciarono sfuggire la occasione per affermare la loro autorità: stabilirono pertanto la piena autonomia di Livigno, sia in materia economica (sfruttamento dei pascoli e dei boschi) che giuridica. Così poco a poco tutti i privilegi del Contado, che vantava la storia più gloriosa fino ad ora, e più libera della Valtellina, stavano subendo dei ridimensionamenti, delle limitazioni. La rottura dei rapporti tra Bormio e i Grigioni, era destinata ad andare progressivamente accentuandosi fra il 1563 ed il 1620.
Finché i tentativi ripetuti di infiltrazione del potere dei Grigioni, rimasero in superficie, i Bormiesi reagirono con ambascerie, con la diplomazia, in nome del rispetto degli statuti. Quando però i tentativi si fecero ancora più frequenti e minacciosi nei confronti delle istituzioni democratiche, allora la Comunità reagì in modo più drastico, ricorrendo alle armi, e soprattutto al profondo sentimento della religione e della patria.
La ribellione che vede uniti tutti i Valtellinesi, contro i Grigioni, scoppiò a Tirano il 19 Luglio 1620.
I fatti di sangue si verificarono simultaneamente in numerosi centri della Valle. A Bormio dove risiedevano pare, solo tre riformati, si usò solo una certa clemenza, anche se in seguito si presero serie misure per la difesa del cristianesimo.
Il tentativo dei Grigioni di occupare la Valtellina, fu sventato dall'intervento degli Spagnoli, che tuttavia preferirono rimanere in Valtellina, più come protettori che come padroni.
Livigno in questo periodo tormentato, per la sua particolare posizione geografica, fu l'ideale passaggio per le truppe grigione che marciavano verso la Valtellina. Ne riportò comunque, gravi perdite da questo fatto. I trattati di Milano del 1622, riconobbero al Contado di Bormio il definitivo distacco, dalla Rezia. Questi fatti suscitarono però la ribellione della Francia e di Venezia che avevano sostenuto nella lotta i Grigioni. Il Papa stesso, Gregorio XV, si offrì per risolvere la vertenza e sostituì ai presidi spagnoli quelli pontifici.
Al periodo di relativa calma, si succedettero però, due fatti particolarmente gravi: prima la pestilenza, portata in tutta la Valtellina dal passaggio dei Lanzichenecchi, poi l'attacco da parte della Francia nel 1635.
I Francesi, scesero il 29 Marzo su Bormio, penetrando dall'Engadina attraverso la Valle di Livigno. Questo episodio è senz'altro uno dei maggiori della storia di Livigno, tanto che è ancora oggi ricordato da un graffito sulla facciata della Casa Comunale. Inoltre ha stimolato vivamente la fantasia popolare secondo la quale fautori della vittoria furono i morti di Livigno, insorti a gridare contro il nemico "via di qua". Ed ecco l'episodio: il Rohan appena sa della inconsulta ed improvvisa ritirata del Du Lande, dal Bormiese e dalla Valtellina, approfittando dell'inerzia del generale spagnolo Serbelloni, mette a fuoco le fortificazioni di Mantello, fila in vista del Forte di Fuentes, e per Chiavenna; lasciati distaccamenti di protezione a Riva e Chiavenna, agli ordini di Ulisse Salis, valica il Maloia, scende a Zuoz dove si congiunge con i distaccamenti francesi del Du Lande e Montauzier e decide l'offensiva ad oltranza su Livigno. Le truppe ai suoi ordini sono costituite da circa 3000 Francesi, 1500 Grigioni e 400 cavalli. Si tratta di superare il Passo di Cassana altissimo, e scendere nelle conca dello Spöl a quasi 1900 m. in piena zona alpina (conca questa circondata da vette impervie e superiori a 3000 m.) mentre piccole colonne secondarie devono appoggiare il movimento per i passi laterali di destra del Chamuera e del Fieno, onde impedire un'eventuale ritirata nemica per la Forcola, nell'Engadina e nei Grigioni. Il nemico a fronte è quasi doppio di numero e costituito da truppe agguerrite.
Nel Consiglio di Guerra tenuto dai capi Grigioni e comandanti francesi, il Du Lande è del parere di non affrontare battaglia, ma quello del Duca a cui si uniscono, Grigioni, prevale. Gli imperiali che non si sono neppure curati di mantenere una linea di sorveglianza ai passi ed alle strette principali della valle di Livigno, (Cassana, Forcola, del Gallo) sono sparpagliati ovunque, con il grosso, allo sbocco di Val Federia percorsa dalla mulattiera del Passo di Cassana. Dal passo di Cassana le avanguardie francesi nella notte del 26-27 giugno si portano sulla destra della Val Federia ed occupano la vetta Blesaccia, dominante il piano di Livigno, e non occupata per trascuratezza, dall'avversario. Sotto la loro protezione all'alba del 27, il grosso delle truppe franco-grigione, scende rapidamente per il fondo-valle e coglie di sorpresa gli imperiali. Di primo slancio un distaccamento Grigione, si porta di corsa alla chiesa parrocchiale di Livigno: intorno all'adiacente cimitero , che essendo murato, serve quasi di ridotta; la lotta si fa vivacissima. Gli imperiali alloggiati nelle "baitel, della vallata, distanti tra loro ed ancora assonnati, possono a stento raccogliersi ed opporre parziali resistenze. Caricati dalla cavalleria francese, molti affogano nello Spöl, a cui erano stati tolti malauguratamente i ponti, i più sono ricacciati oltre; un intero squadrone di cavalleria bavarese ancora appiedato perché colto di sorpresa, viene distrutto completamente. Le truppe alla diretta dipendenza del Brisiguel sulla destra dello Spöl tentano di sostenere la lotta ma anch'esse sotto l'impeto dei Franco-Svizzeri che trovano un guado, sono passati sulla destra del fiume, iniziando la ritirata., la quale può compiersi con un certo ordine per i passi d'Eira e di Foscagno verso la Val Viola, Bormina o Valdidentro, anche perché nei Franco-Svizzeri, data l'ora tarda e la stanchezza dei Grigioni, prevale nel Consiglio di Guerra il parere del Du Lande, di non inseguire il nemico.
A loro volta i Franco-Svizzeri, preceduti dal Du Lande, sgombrano la Val di Livigno per il passo della Forcola e Poschiavo, scendono a Tirano. La valle viene così sgombrata completamente dagli stranieri invasori; da qui nacque la graziosa popolare leggenda eroica dei "Morti Livignaschi combattenti per la libertà della loro valle" .......
Affermano Glicerio Longa e la Giuseppina Lombardini, che si occupano di storie bormiesi, che in un primo momento i francesi ebbero la peggio. Ma, travestiti coi camici bianchi di una confraternita, spaventarono gli imperiali che fuggirono in preda al più superstizioso terrore. Ed ancora, Longa e la Lombardini, accennano ad una eventuale cooperazione di lotta dei morti di Livigno coi francesi. Ma la tradizione popolare non è questa: ha una concezione assai più larga, religiosa e patriottica insieme. Dice essa (ed il ricordo in Livigno è ancora vivo) che contro gli invasori franco-svizzeri ed imperiali, comunque e sempre stranieri predatori, insorsero i morti livignaschi tanto più sdegnati dalla profanazione e dall'oltraggio recato ai luoghi sacri.
Insorsero e gridarono altamente nei primi bagliori dell'alba "Via di qua...!". E l'effetto fu immediato e disastroso! Poche ore dopo infatti gli imperiali si ritiravano su Bormio per il passo d'Eira e Foscagno ed a sua volta, il Rhoan, per il passo della Forcola e Poschiavo, si dirigeva su Tirano. La valle di Livigno era così di nuovo sgombra, libera.
A noi sembra che questa versione dell'episodio del combattimento di Livigno, pure rivestita di leggenda, sia anche più simpatica perché segna il ridestarsi dello spirito nazionale di indipendenza che quasi preludia a distanza di secoli, il ritornello del popolarissimo inno garibaldino.
Ad operazioni ultimate, i Grigioni reclamarono ripetutamente la restituzione dei territori valtellinesi.
Ma il Richelieu.. non aveva fatto riconquistare la Valtellina per restituirla agli alleati; essa doveva servire come base per operazioni militari contro la Spagna in Italia.
Il Governo retico, però, reclamò minaccioso, l'immediata restituzione e, davanti al rifiuto di Richelieu, si scatenò una vera e propria sommossa.
Col Capitolato di Milano, (1639), la Valtellina ritorno alla già sperimentata sudditanza. ora si desiderava solo la pace, si voleva tornare alla lavorazione dei campi, ai traffici ed a un modo civile e pacifico di vita.
Meno densi di avvenimenti scorsero gli anni successivi.
Il' Contado di Bormio si regolava interamente sui suoi Statuti tradizionali, si reggeva sulla vecchia struttura autonoma.
Le leghe, del resto, avevano imparato a proprie spese, che la Comunità si doveva tener buona, quindi erano pronte a concedere con una certa celerità, tutte le richieste che da esse provenivano: abolizione di dazi, dispense da imposte .......
Quasi ogni anno Bormio faceva obiezioni alle diete; quasi sempre tali ricorsi si tramutavano in concessioni.
Rari, anche se non completamente assenti, erano gli incidenti in questo genere di trattative.
Frattanto Milano era passata in mano agli Austriaci, i quali, potendo comunicare con il paese suddito, solo attraverso la Valle dell'Inn, subentrarono agli Spagnoli nella tutela della Valtellina.
Si assistette nel frattempo ad un progressivo miglioramento dei rapporti Coira e Vienna, al quale però non fece riscontro un altrettanto positivo rapporto tra i Grigioni ed i sudditi Valtellinesi.
Dal 1785, l'atteggiamento della Valtellina, si fece più risoluto contro la cattiva ed opprimente amministrazione, la venialità e gli arbitrii dei Grigioni. Ma le trattative andavano spesso per le lunghe, cosicché, i Valtellinesi nel 1797, intimarono le dimissioni a quello che fu l'ultimo Governatore Grigione, e decretarono l'annessione della Valtellina alla Repubblica Cisalpina.
Dopo l'occupazione di Napoleone, gli Austriaci, annessero la Lombardia al Lombardo-Veneto, nonostante le proteste dei Grigioni, che ne rivendicavano il diritto di possesso.
Il Bormiese, contrariamente al resto della Valle, manifestò la sua intenzione di far parte nuovamente della Confederazione Elvetica. Lo stesso Prete di Livigno, si era recato con una delegazione a Zurigo per chiedere inutilmente il ritorno sotto la sovranità dei Grigioni.
Il dominio austriaco durò quasi 50 anni durante i quali molte ed apprezzabili furono le opere pubbliche, soprattutto nel campo della viabilità. In particolare a noi interessa l'allacciamento di Bormio con l'Alto Adige, mediante la strada dello Stelvio.
Quanto al risorgimento, in Valtellina ebbe in misura assai scarsa lo spirito e la forza delle città.
Tuttavia anche i Valtellinesi diedero il loro apporto alla causa del paese e nel 1850, entrarono a far parte del Regno di Sardegna.